Cinquant’anni fa, il 27 giugno 1973, Marcello Fiasconaro stabilì il primato del mondo degli 800 metri con 1’43”7. Riviviamo quella magica serata col racconto del grande campione.
La sera del 27 giugno 1973, sulla pista dell’Arena civica di Milano, Marcello Fiasconaro stabilì il primato del mondo degli 800 metri con 1’43”7.
Il tutto avvenne in un incontro tra le rappresentative di Italia e Cecoslovacchia, svolto in due giornate, 26 e 27 giugno, all’Arena di Milano. Vinse l’Italia 108 a 103, grazie anche alle tre vittorie di Pietro Mennea (100, 200 e 4×100), a quella di Fiasconaro nei 400 m della prima giornata, ai record italiani di Enzo del Forno nel salto in alto (2,19 m) e di Silvano Simenon nel lancio del disco (63,86 m). Sugli 800 di quella seconda giornata Fiasconaro era chiamato a misurarsi contro Jozef Placky, campione europeo indoor 1972.
Marcello Fiasconaro raccontò quella gara a Correre, in un’intervista a Daniele Menarini che qui riproponiamo, non prima di aver precisato un dettaglio: all’epoca, negli 800 metri, le regole prevedevano di correre in corsia le prime due curve.
«Era già tardi quando il giudice col megafono ci chiamò alla partenza. Saranno state le dieci, forse le dieci e mezza… Simeon aveva già terminato la sua gara di disco, che era l’ultimo concorso in programma, e aveva fatto una prova straordinaria. Era tardi anche per le tante altre cose che ancora avrei voluto fare prima di prendere l’aereo che, l’indomani, mi avrebbe riportato in Sudafrica. Una su tutte: nella mia ultima notte in Italia, all’Italia volevo regalare una vittoria.»
Italia-Cecoslovacchia, dunque. Divisa azzurra e cos’altro?
«Un paio di Adidas “Titan”, blu con le tre strisce bianche e con, credo, sette chiodi. Quello che so per certo è che avevo montato i chiodi da sette millimetri, con il tartan della pista di Milano ci volevano tutti. Addosso, per la verità, avevo anche un’altra cosa: un terribile mal di testa. L’acido lattico del quattrocento corso la sera prima, forse, o più probabilmente quella maledetta bestia che ti prende dentro: in Sudafrica la chiamiamo “Adrenaline”: tensione, emozione, rabbia, ansia… un cavallo indomabile che ti percuote dentro, ma che, se lo riesci a controllare, ti porta dappertutto.»
La gara
«Sulla mia strada c’era il ceco Joseph Plachy, micidiale negli ultimi 150 metri. Mi faceva paura la sua esperienza: due volte ai Giochi olimpici, tante gare risolte con il calcolo, con la lucidità. Contro tutta questa esperienza, io, “uomo caduto sul pianeta atletica”, come scrivevano di me sui giornali, sentivo di avere una sola alternativa: passare ai primi quattrocento maledettamente forte, creare tra me e lui un gap che mi permettesse di entrare in testa nell’ultimo rettilineo.»
I primi 400 metri: 51”2 – «Così ho fatto: sono passato in 51 secondi. No, non avevo nessuno che mi urlasse il tempo, ma sentivo dentro di aver “segnato un cinquantuno” (i documenti ufficiali parlano di un 51”2, costruito da un primo 200 metri in 25” e un secondo 200 metri in 26”2, ndr). Mi sono voltato un momento e ho visto che Plachy era a 5-6 metri, ma ancora con l’espressione tranquilla di chi si aspettava una botta a secco di quel livello. Quello che forse Plachy non aveva previsto è che io, a quel punto, tornassi a pigiare sull’acceleratore, con una serie di brevi scatti violenti, tipo elastico, uno attaccato all’altro.»
Così sei passato ai 600 metri in 1’16”5, che significa 25”3 in quel terzo segmento di duecento metri…
«A quel punto sentivo il dolore che cominciava ad abbracciarmi i muscoli e risaliva lungo il corpo ad arpionarmi la schiena, ma avevo nel cuore e nella mente il coraggio di chi ha fatto il suo dovere negli allenamenti, prima in Sudafrica, con Stewart Banner, poi a Formia, con Carlo Vittori (allenatore di Pietro Mennea, ndr).»
Un esempio di quegli allenamenti?
«La settimana prima del record ero arrivato a correre 3 volte i 600 metri in 1’17”, 1’18” e 1’16” con 10 minuti di recupero tra una prova e l’altra, oppure, in altre occasioni, 4 volte i 300 metri, tutti in 33”6, sempre con 10 minuti di recupero, o anche 8 volte i 150 metri in 16”5, recuperando 7 minuti tra una prova e l’altra. Ogni volta, alla fine dell’allenamento mi piegavo su me stesso e vomitavo. Così sapevo di aver fatto un buon allenamento.»
Il pubblico – «Tutto questo per spiegare che non avevo paura di andare fino in fondo. Anche perché il pubblico era lì, in piedi, e lo sentivo impazzire. E non è vero che quando sei in gara non senti niente o, almeno, non era vero per me: ho sempre avvertito tutte le loro voci, una per una, e mi sono nutrito della loro passione come di un vento a favore che sembrava soffiare solo per me. Milano, poi, era il mio pubblico, che mi aveva accolto il giorno della mia prima vittoria con la maglia della nazionale italiana, quando avevo sentito come una voce immensa, che mi diceva: “OK, amico, adesso che sei tu l’Italia, facci vedere cosa sai fare”.»
Ultimi 200 metri – «C’era tutto questo nella mia testa mentre la curva sembrava cominciasse a salire. La parte del mio cervello che continuava a ragionare, però, diceva che anche il mio bravissimo avversario tanto fresco non doveva essere. Perché, vedi… un ottocento non è un diecimila. Quando viaggi a 25-26 secondi ogni 200 metri e sei davanti all’inizio dell’ultima curva, puoi solo crollare tu. Quello dietro non è che può fare 23 secondi, non è un duecentista!»
Il finale – «Dell’ultima parte ho un ricordo confuso: il “muro” del limite fisico del dolore l’ho sentito a 30 metri dal traguardo, ma a quel punto Plachy non poteva più fare granché. E ancora credevo di aver soltanto vinto. Certo, vedevo tutta l’Arena in piedi, ma pensavo: “Beh, da fuori dev’essere stato un gran bello spettacolo, meno male!”. Poi una voce, in mezzo alle luci e agli applausi, ha annunciato quel tempo che ancora mi accompagna.»
C’è stato un momento particolarmente difficile o brutto in quella serata?
«A parte quel mal di testa, è accaduto un fatto che rimane per me motivo di grande rammarico: alla fine della gara sono andato da Carlo Vittori per chiedergli se, per favore, mi poteva sostituire nella 4×400. Non lo avevo mai fatto. Sono nato con il rugby, dove la sostituzione è una vergogna, ma a quel punto, davvero, non avrei saputo come finirlo un altro quattrocento.»
Un ricordo particolarmente bello?
«La mattina dopo ero in aereo, diretto a Roma, dove era stata organizzata dalla Fidal una conferenza stampa per le 13. Alle 18:30 mi aspettava il volo per il Sudafrica. Era il classico “Milano-Roma”, all’epoca pieno di professionisti dell’economia e della politica. Poco prima di partire sento uscire dagli alto-parlanti una voce che dice: “Buongiorno, è il comandante che vi parla. Abbiamo il piacere di avere a bordo il signor Marcello Fiasconaro, che ieri sera, qui a Milano, ha stabilito il nuovo record del mondo degli 800 metri”. Ho pensato: “Sai cosa gliene frega, a questi?” E invece tutti i passeggeri hanno abbandonato per un momento le loro ventiquattrore e i loro giornali economici, si sono alzati in piedi e hanno cominciato ad applaudire. A quel punto non sapevo più cosa fare: mi sono aggrappato alla sedia per alzarmi, non c’era un muscolo che non mi facesse male… “Sì, salve, piacere… grazie a tutti”. Non mi sono mai più sentito così stanco. Qualche volta, nella vita, sono stato di nuovo così felice.»
Da Marcello Fiasconaro a Rudisha
Questa che segue è la cronologia del record del mondo degli 800 metri maschili, a partire da quel 27 giugno 1973:
1’43”7 Marcello Fiasconaro, Milano, 27 giugno 1973
1’43”5 Alberto Juantorena (CUB), Montreal (CAN), 25 luglio 1976
1’43”4 Alberto Juantorena (CUB), Sofia (BUL), 21 agosto 1977
1’42”33 Sebastian Coe (GBR), Oslo (NOR), 5 luglio 1979
1’41”73 Sebastian Coe (GBR), Firenze, 10 giugno 1981
1’41”73 Wilson Kipketer (DAN), Stoccolma (SWE), 8 luglio 1997
1’41”24 Wilson Kipketer (DAN), Zurigo (SUI), 13 agosto 1997
1’41”11 Wilson Kipketer (DAN), Colonia (GER), 24 agosto 1997
1’41”09 David Lekuta Rudisha (KEN), Berlino (GER), 22 agosto 2000
1’41”01 David Lekuta Rudisha (KEN), Rieti, 29 agosto 2000
1’40”91 David Lekuta Rudisha (KEN), Londra (GBR), 9 agosto 2012
800 metri – I 10 migliori italiani di sempre
1:43.7 Marcello Fiasconaro (1949), Milano, 27 giugno 73
1:43.74 Andrea Longo (1975), Rieti, 3 settembre 2000
1:43.88 Donato Sabia (1963), Firenze, 13 giugno 1984
1:43.92 Andrea Benvenuti (1969), Montecarlo (MCO), 11 agosto 92
1:43.95 Giuseppe D’Urso (1969), Roma, 5 Giugno 1996
1:44.67 Giordano Benedetti (1989), Roma, 6 giugno 2013
1:44.78 Andrea Giocondi (1969), Zurigo (SUI), 13 agosto 1996
1:44.83 Catalin Tecuceanu (1999), Eugene (USA), 20 luglio 2022
1:44.96 Simone Barontini (1999), Rovereto, 30 agosto 2022
1:45.05 Marco Chiavarini (1972), Roma, 8 giugno 1995