Tenera è la notte… con Elena e Filippo

L’appassionato di atletica, come nelle altre discipline, vuole vedere sempre la propria squadra, la nazionale eccellere. Pure noi amanti dell’atletica dopo i fasti dei vari Mennea, Simeoni, Dorio, Cova, Panetta, Mei, Bordin, Baldini e via cantando, siamo entrati in un cono d’ombra, in un tunnel  senza luci, durato anni, dal quale siamo improvvisamente usciti l’estate scorsa.

Passano 11 mesi e ci presentiamo ai Mondiali di Eugene, incerottati, insicuri, intristiti. I risultati non eccelsi si sono visti, però vivaddio, per una notte. Almeno per una notte, abbiamo visto due atleti che ci hanno fatto e spero faranno sognare anche a Monaco (Europei).
La prima Elena Vallortigara, terza, bronzo nel salto in alto con 2 metri, l’unica medaglia azzurra fino a questo momento. Una gara da incorniciare, dicono, quelli che parlano e scrivono in punta di penna, ha sconfitto i demoni che non le permettevano di elevarsi a certe altezze. I due metri, ovvero l’olimpo dell’alto, li aveva superati (2,02) prima degli Europei di Berlino, un’altra epoca. Già in qualificazione aveva palesato ottime condizioni di forma, anche se la sua intervista in tv, pareva già una sorta di ringraziamento che significava: “Bene così, la finale c’è, mi accontento”. Invece, questa notte la veneta ha fatto percorso netto sino a 2,00 i due centimetri successivi le sono stati fatali.

Foto: Francesca Grana

L’azzurra allenata da Giardi ha ammesso che a un certo punto avrebbe sognato un metallo più prezioso, ma la Patterson e la Mahuckich non lo hanno permesso. Elena Vallortigara era una promessa già nelle categorie giovanili con 2 bronzi ai mondiali under 18 e under 20. Sparita dai radar per stagioni intere, la ragazza di Schio rivaleggiando con l’amica/rivale Alessia Trost è tornata ad affacciarsi al mondo. La sua medaglia è dello stesso metallo di quello di Antonietta Di Martino in quel di Osaka nell’ormai lontano 2007.

Si deve rendere merito anche a Filippo Tortu, d’accordo non entra in finale, è il primo degli esclusi, nono tempo in assoluto, anzi ottavo, lo stesso del canadese Aron Brown che però l’ha preceduto sul traguardo della sua semifinale. Da mangiarsi le mani e pure qualcosa d’altro.
Un Filippo rinato, sicuro, composto, presente in ogni momento della gara con un’eleganza che pareva smarrita, il suo 20”10 è il miglior tempo realizzato da un italiano dopo Pietro Mennea che rimane lassù con il suo 19”72.
Da tempo, troppo, si diceva che il ragazzo lombardo di origini sarde (se non lo si scrive apriti cielo…N.d.R) avrebbe dovuto dedicarsi al mezzo giro di pista, forse ci ha messo troppo tempo, incaponendosi solo sui 100. Ma si è ancora in tempo per farci sognare, sin da quando da bimbo vinceva all’Arena con la maglia della Riccardi di Milano e quando a Madrid è sceso, primo italiano nella storia sotto i 10”. Quel 9”99 (2018) che forse lo ha anche danneggiato, si è dedicato anima e corpo su una distanza dove i meno 10 non li ha più visti.

Adesso sotto con la staffetta e con gli Europei, dove la medaglia a questo punto non è più una chimera.  Filippo ha pure ricordato Vanni Loriga, decano dei giornalisti sportivi che è mancato, ieri a 95 anni. Complimenti a lui per le parole che ha dedicato alla penna che ha seguito tutti i Giochi dal 1956 al 2000.

Capitolo Ingebrigtsen. Il re del mezzofondo veloce, non riesce ad asfissiare con la sua tattica gli avversari, viene trafitto dal britannico Wightman in un sontuoso 3’29”23, rinverdendo i fasti di Coe, Ovett e Cram.  

P.S: Ha parlato Marcell Jacobs. Finalmente. Instagram è meno esaustivo delle parole.

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