Dal racconto intimo a Belve al prestigioso riconoscimento accademico a Urbino: il campione olimpico svela ambizioni, difficoltà e valori che lo ispirano.
Gianmarco Tamberi, campione olimpico e mondiale di salto in alto, continua a stupire dentro e fuori dalla pedana. Negli ultimi giorni, il “Gimbo” nazionale è stato protagonista di due eventi che raccontano lati opposti e complementari della sua figura: l’intervista a Belve, dove si è mostrato senza filtri, e il conferimento della laurea honoris causa in Scienze e Tecniche dello Sport da parte dell’Università degli Studi Carlo Bo di Urbino.
L’onore accademico: “Un giorno unico nella mia vita”
Davanti a un’aula gremita da oltre 600 persone, tra studenti, docenti e autorità, Tamberi ha ricevuto il prestigioso riconoscimento per la sua carriera e per il messaggio che rappresenta per le giovani generazioni. Il direttore del Dipartimento di Scienze Biomolecolari, Marco Rocchi, ha elogiato il campione per la sua resilienza e capacità di trasformare difficoltà personali, come i gravi infortuni, in trampolini per il successo. “Tamberi incarna valori formativi fondamentali: disciplina, costanza, rispetto degli avversari e spirito di sacrificio,” ha sottolineato Rocchi.
Visibilmente emozionato, Tamberi ha tenuto una lectio magistralis che ha toccato il cuore dei presenti: “È un onore immenso. Questo giorno resterà unico nella storia della mia vita. Dobbiamo avere il coraggio di scegliere, perché ogni scelta è il primo passo per costruire qualcosa di grande nel nostro futuro”. Tra i tanti presenti spiccavano il rettore Giorgio Calcagnini, che gli ha consegnato la pergamena, il sindaco di Urbino Maurizio Gambini e rappresentanti di CONI e FIDAL Marche.
La confessione di Tamberi a Belve: “Il salto in alto non mi piace”
Pochi giorni prima, Tamberi aveva sorpreso il pubblico con dichiarazioni altrettanto profonde, ma dai toni molto personali, durante l’intervista a Francesca Fagnani. “Non mi piace il salto in alto, avrei preferito giocare a basket,” ha ammesso, raccontando come il padre, ex saltatore e primatista italiano, lo abbia indirizzato verso questa disciplina. “Mi sono sentito un po’ tradito, anche se so che lo ha fatto per il mio bene,” ha confessato, svelando un rapporto complesso e a tratti conflittuale con il genitore, mai del tutto ricucito.
Con il suo motto “Fly or die”, Tamberi ha spiegato di non sentirsi un talento naturale, ma di aver raggiunto l’eccellenza grazie a un’ossessione per l’obiettivo. “Mi spinge più la paura di perdere che la voglia di vincere,” ha detto, condividendo l’impatto emotivo delle sue sconfitte, persino mesi prima di una gara importante. Ha parlato di sé come impulsivo e a tratti vendicativo, ma anche leale e generoso: “Mi sento umile, senza umiltà non si costruisce nulla.”
Un’icona che guarda avanti
Tra la solennità dell’aula universitaria e l’intimità dello studio televisivo, Tamberi si conferma un atleta complesso e ispiratore. Dal carisma che lo porta a tingersi i capelli e a radersi mezza barba per caricarsi in gara, all’autoironia che gli consente di accettare critiche e invidie, emerge un uomo consapevole di essere amato e giudicato, ma sempre determinato a “guardare avanti”.