Sempre più inclusivo il mondo dell’atletica: lei è Valentina Petrillo, prima atleta trans a partecipare – e a vincere – un campionato italiano nella categoria del proprio genere percepito. «Serve più cultura, non solo sportiva», ci racconta.
Ci sono conquiste che valgono più di una vittoria. Essere annunciate per nome di battesimo e non più solo per cognome dallo speaker al pari delle avversarie. Banalità? Non per tutti.
I più rapidi nella gara dell’inclusione di atleti e atlete transgender sono stati: il Comitato olimpico internazionale nel 2015 e la World Para Athletics nel 2018, dopo anni di ricerche di un pool di esperti capitanato dalla canadese Joanna Harper.
La prima volta di una trans nell’atletica italiana
“A fine 2019, poi, la Fispes recepisce il regolamento pubblicato dalla World Athletics nell’ottobre dello stesso anno, che fissa il parametro dell’eleggibilità per atleti trans MtF (male to female, da uomo a donna) in 12 mesi continuativi con una concentrazione certificata di testosterone inferiore a 5 nmol/L (nanomoli per litro, ndr),” ripercorre l’autrice dell’articolo, Francesca Grana.
“Ogni federazione sportiva ha sinora agito con criteri differenti: dal rugby, che sta valutando di impedire alle atlete trans di partecipare ai campionati femminili, al ciclismo, che ha invece già assegnato il primo titolo iridato della storia all’atleta “T” canadese Rachel McKinnon.”
Gli effetti della terapia ormonale
«A livello di prestazione, gli effetti collaterali della terapia ormonale sono incontrovertibili: otto decimi persi nei 100 m, oltre un secondo e mezzo nei 200 m, dodici secondi nei 400 m, per non parlare della contrazione della massa muscolare» spiega Petrillo.
«L’insinuazione che mi pesa di più è che io abbia intrapreso questo percorso per vincere più facilmente, ma ricordo solo che di titoli italiani Fispes ne avevo già collezionati 11. L’unica volta in cui ho davvero fatto festa coi miei nuovi compagni di squadra, però, è stata quando la Fispes ha ufficializzato che avrei potuto gareggiare come “Valentina”. Non si tratta di coraggio, ma di necessità» prosegue la velocista, nel frattempo costretta a cambiare società per sentirsi meglio accolta.
Nota: Questo testo rappresenta una sintesi del servizio “Solo cognome”, di Francesca Grana, pubblicato su Correre n. 433, novembre 2020 (in edicola da inizio mese), alle pagine 16-18.