Dai quarant’anni in poi il podista improvvisamente si accorge di calare di rendimento a fronte degli stessi lavori. È il segnale che è arrivato il tempo di riprogrammare tutto, fare selezione e, per quanto strano ci possa sembrare, puntare quasi esclusivamente sulle sedute di massima qualità.
È questo il messaggio che percorre il contributo tecnico di Orlando Pizzolato su Correre di dicembre, intitolato “Alla ricerca della reattività perduta”.
Da innumerevoli studi scientifici ̶ ricorda Pizzolato ̶ è emerso che alla soglia dei quarant’anni inizia la perdita di efficienza collegata all’invecchiamento, quantificabile mediamente nel 1% all’anno e più visibile nei corridori con molta esperienza di quanto non accada con i quarantenni neofiti.
Rendo poco? Devo allenarmi di più!
Di fronte a un “non miglioramento” la maggior parte dei corridori ha una reazione rabbiosa: più la prestazione peggiora, più si aumenta il volume totale degli allenamenti. «Non sono andato bene come mi aspettavo? Vuol dire che non mi sono allenato abbastanza» è il ragionamento effettuato dalla maggior parte dei podisti.
“Purtroppo non è così semplice ̶ precisa Pizzolato nel suo articolo ̶ : quando un incremento del carico di allenamento non porta a miglioramenti fisiologici (e quindi prestazionali), significa che l’organismo non risponde agli stimoli dell’allenamento perché è sovraccaricato. Molto spesso ciò dipende dall’incapacità dei nostri organi (quelli coinvolti nelle prestazioni aerobiche e anaerobiche per le corse di resistenza) di reagire alla stimolazione degli ormoni prodotti sotto sforzo. Oppure, la risposta ormonale allo stimolo degli allenamenti è troppo blanda, il che rivela una sorta di stato depressivo fisico”.
In caso di calo
In questi casi bisogna per prima cosa concedersi un periodo di rigenerazione e poi rivedere il programma di allenamento cambiando del tutto la mentalità di lavoro: “la cosa più importante ̶ scrive Pizzolato ̶ non sarà più totalizzare un certo chilometraggio settimanale, ma sostenere con la massima efficienza la seduta specifica (le ripetute, ad esempio, o le salite)”.
La grande maggioranza dei podisti amatori riesce a svolgere e a sostenere due stimoli allenanti elevati alla settimana, ed è proprio su queste sedute che si devono concentrare l’attenzione e le energie. Gli altri lavori finiranno per rivestire un’importanza relativa, perché all’interno del nostro piano di allenamento vanno considerate come elementi per mantenere la resistenza di base e non devono disturbare l’organismo per non condizionare il rendimento nella seduta specifica. Piuttosto che uscire una volta in più a correre lentamente, con il risultato comunque di stancarsi, è meglio riposare per essere pronti a dare il massimo nella seduta specifica, quella “di qualità”.
Precedenza alle sedute che contano
Non si deve quindi andare a correre per conseguire minimi effetti allenanti; quando non si migliora è necessario sostenere solo sedute di alta efficacia allenante e in questi allenamenti si deve sostenere in sostanza il massimo carico possibile. Lo stress (o affaticamento) deve essere piuttosto elevato, tale da arrivare al 90% dell’impegno massimo.
Nota: Questo testo rappresenta una sintesi del servizio “Alla ricerca della reattività fisiologica perduta”, di Orlando Pizzolato, pubblicato su Correre n. 398, dicembre 2017 (in edicola da sabato 25 novembre), alle pagine 20-22.