Reportage: di corsa col popolo Raramuri

L’ultramarathon Caballo Blanco si svolge nel territorio messicano dei Tarahumara, popolo di corridori instancabili diventati noti ai runner soprattutto grazie al volume Born to run di Christopher McDougall. Lorena Brusamento l’aveva corsa poco prima del lockdown e ora ce la racconta.

Per gli appassionati di corsa, “Tarahumara” è parola mitica, al pari di Kenya, Etiopia e, per gli appassionati di lungo corso, anche Finlandia e Nuova Zelanda.

Di base, “Tarahumara” è il nome della zona del Messico abitata dal popolo Raramuri, famoso per la resistenza straordinaria. “Tarahumara” e “Raramuri” sono entrati nel vocabolario della corsa con il libro di successo “Born to run”, scritto da Christopher McDougall, ma i lettori di Correre appassionati di trail running hanno incontrato popolo e terra Tarahumara anche nel romanzo di Leonardo Soresi “Il ragazzo che cavalcava il vento”.

Diario di un viaggio di corsa e di vita

In quel territorio si svolge la corsa denominata “Ultramarathon Caballo Blanco”, soprannome dell’ultramaratoneta Micah True, mancato nel 2012.

L’edizione di quest’anno si è svolta a fine febbraio, poco prima che il mondo si fermasse per l’epidemia di Covid-19. Alla corsa ha partecipato Lorena Brusamento, a sua volta ultrarunner di ottimo livello. Nelle 10 pagine del reportage che apre Correre di giugno vengono raccontati i luoghi, l’atmosfera, le corse e soprattutto le persone incontrate da Lorena in questo viaggio straordinario. Il servizio è aperto da un’intervista all’atleta curata da Chiara Collivignarelli e di cui riportiamo alcuni passaggi.

Sognava da molto di fare questo viaggio?

«Ho letto il libro di McDougall un paio di anni fa e ne sono rimasta folgorata. Da allora ho approfondito meglio la conoscenza del popolo Raramuri, che mi ha estremamente affascinato. Soprattutto le donne, che corrono in boschi e sentieri difficilissimi alla velocità della luce, indossando sandali e gonnelloni, per raggiungere i villaggi più vicini, che sono a chilometri e chilometri di distanza. Mi ero sempre chiesta come facessero, me lo sono domandata in Messico e continuo a chiedermelo. Hanno una forza, una resistenza, una dignità incredibili. E alle competizioni, che affrontano sempre con i loro abiti tradizionali, sono delle campionesse formidabili.»

Ci spiega nel dettaglio perché quel territorio e le persone che lo vivono sono tanto straordinari?

«Quello che hanno di davvero straordinario è il forte legame con la Natura, la piena comunione con essa. Si affidano totalmente a lei, ne seguono il flusso e sanno che, se impari ad ascoltarla, la Natura ti aiuterà. Vivono isolati, tra le loro barrancas (canyon, nda), non vogliono essere contaminati da nulla e si fondono completamente con la terra, traendo da essa la loro forza. Forza che si traduce anche nella loro incredibile resistenza, nella capacità di reggere chilometri e chilometri di corsa nei boschi senza lamentarsi. Ho nettamente percepito questa loro simbiosi con la Natura anche durante la competizione. Loro dicono che se corri nella Terra e per la Terra, puoi correre per sempre.»

Nota: Questo testo rappresenta una sintesi del reportage “Quel sogno realizzato in terra Tarahumara” pubblicato su Correre n. 428, giugno 2020 (in edicola da inizio mese), alle pagine 18-27.

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