Pietro Mennea morì dieci anni fa, giovedì 21 marzo 2013, stroncato da un male incurabile. La camera ardente, aperta il giorno successivo nel Salone d’onore del Coni al Foro Italico, a Roma, vide sfilare una folla infinita, che fece da cornice alla bara portata a spalla dagli azzurri che gli furono compagni di staffetta (nella foto).
Mennea resta il più grande velocista della storia dell’atletica italiana, primatista mondiale dei 200 m dal 1979 al 1996 con il tempo di 19″72 e medaglia d’oro nella stessa specialità ai Giochi Olimpici di Mosca 1980. Nato a Barletta il 28 giugno 1952, esercitava la professione di avvocato fallimentarista assieme alla moglie, Manuela Olivieri. Era laureato anche in Scienze politiche, Scienze motorie e Lettere, ed era stato anche eletto al Parlamento Europeo
Domenica 24 marzo 2013, su disposizione del presidente del Coni, Giovanni Malagò, tutte le manifestazioni sportive vennero precedute da un minuto di silenzio. La sera stessa della morte, a Ginevra, i calciatori azzurri impegnati nell’amichevole di calcio Italia-Brasile giocarono con il lutto al braccio.
Una carriera da protagonista
La stella della “Freccia del sud”, soprannome preferito da Pietro Mennea, comincia a brillare ai Campionati Europei del 1971: sesto nei 200 m, a diciannove anni, e bronzo con la staffetta azzurra 4×100. A vent’anni conquista il bronzo dei 200 m dei Giochi olimpici di Monaco di Baviera, distanza in cui diventa campione d’Europa una prima volta nel 1974, a Roma, dove ottiene anche l’argento nei 100 m, alle spalle del due volte campione olimpico di Monaco ‘72, Valery Borzov. Dopo la crisi dei Giochi olimpici di Montreal 1976 (quarto nei 200 m), Pietro Mennea torna protagonista agli Europei di Praga 1978 centrando la doppia vittoria 100-200 m, prologo dell’indimenticabile stagione 1979, culminata con il record del mondo dei 200 metri, il 19”72 stabilito a Città del Messico nel corso delle Universiadi, il 12 settembre.
Mosca 1980: finale incandescente
Ma negli occhi degli sportivi italiani rimane soprattutto l’incredibile ultima parte dei 200 m della finale dei Giochi di Mosca 1980, dove diventa campione olimpico precedendo per due centesimi il britannico Allan Wells.
Una sequenza indimenticabile, che Candido Cannavò, storico direttore de La Gazzetta dello Sport, così ricorda nel libro Una vita in Rosa: “Qualcuno gridò: «Ormai è spacciato». Ma gli ultimi cinquanta metri di Mennea resteranno nella memoria di quanti hanno avuto la fortuna di vederli, di soffrirli e di gustarli, come uno dei capolavori dell’atletica.”
In quell’edizione dei Giochi olimpici conquistò anche il bronzo con la 4×400. La sua carriera, tra ritiri e rientri, si estese fino alla partecipazione ai Giochi olimpici di Seul 1988, quando sfilò come portabandiera dell’Italia e partecipò alle batterie dei 200 metri, firmando la sua quinta presenza olimpica consecutiva.