Settore per settore, proviamo a valutare la partecipazione italiana ai Campionati mondiali di atletica.
“Facciamolo Stano”. “Stano ma vero”. “Lo Stano caso della marcia”. “Vado al Massimo”.
Titoli presi dai quotidiani di lunedì 25 luglio, che incensano ed esaltano giustamente l’impresa di Massimo Stano, che riconferma l’oro olimpico dello scorso anno. L’unico dei cinque vinti a Tokyo. Erano 19 anni che l’Italia non saliva sul gradino più alto del podio iridato (Gibilisco, Parigi 2003/asta) ma sono solo tre, quelli che possono vantare un titolo mondiale e uno olimpico: Alberto Cova nei 10.000 m, Ivano Brugnetti 20 e 50 km di marcia, Maurizio Damilano, mentre solo Korzeniowski, il mitico marciatore polacco, centrò il Mondiale nell’anno successivo a quello olimpico. Particolare non indifferente, il successo di Massimo quasi in concomitanza con i 70 anni dalla vittoria olimpica di Pino Dordoni a Helsinki 1952. Detto ciò, la domanda che ci si pone è: che giudizio dare alla spedizione azzurra a Eugene 2022? Il presidente Fidal, Stefano Mei, e il direttore tecnico, Antonio La Torre, l’hanno battezzata in maniera positiva. Certo, l’oro all’ultimo atto, o quasi, di Stano ha risollevato la baracca, ferma al bronzo di Elena Vallortigara (alto). Vediamo di analizzare la spedizione, suddividendo la valutazione settore per settore: velocità, mezzofondo, salti, lanci, marcia.
Le pagelle
Lanci – I lanci annoverano una medaglia di cartone della pur brava Sara Fantini (martello);
Salti – un’altra “cartonata” con Gimbo Tamberi a mezzo servizio, che a vincere sicuramente ci proverà tra un anno (Mondiali a Budapest), un quarto posto dell’elegantissimo Dallavalle nel triplo, davanti allo sgraziato ma potente Emanuel Ihemeje. Larissa Iapichino, imberbe, fuori subito con un solo buon salto è il flop che non ti aspetti, Tamberi a parte. Come forse non tutti si aspettavano, al contrario, l’acuto di Elena Vallortigara.
Marcia – Stano forever, al quale deve essere aggiunto il nome di Valentina Trapletti, finalista nella 20 km. Tanto di capello alla caparbietà della lombarda.
Mezzofondo, fondo e maratona – Qui di potrebbe aprire un capitolo a parte, una dissertazione lunghissima che parte dalla maratona. Nessun azzurro presente, sia uomini sia donne. Tutti tenuti in fresco (S. Moritz e dintorni) per gli Europei che incombono, quando sappiamo che in campo maschile avremo tutta la squadra al completo con 6 elementi, mentre tra le donne, pare, solo Giovanna Epis. È stata fatta una scelta, speriamo sia foriera di risultati. A Eugene, tra gli uomini, non si è vista nessuna maglia azzurra nei 10.000 m, 5.000 m e 1.500 m. Da piangere! Crippa fermo ai box. Che tristezza. Tecuceanu (800 m) bravo, ma assolutamente, per ora, non in grado di reggere certi ritmi, anche se il futuro per lui è roseo. Da bocciare Abdelwahed nelle siepi, capace, anzi non capace, di gestire una finale condotta a ritmi blandi all’inizio. Stare sempre in fondo non paga. Meglio tra le donne, tra le quali comunque sia la Bellò (800 m), che merita un voto alto, sia Gaia Sabbatini (più basso) non conquistano la finale. Il resto? Non c’è resto.
Velocità – Per ultima la velocità. Filippo Tortu a livello individuale sognava una finale che non è arrivata, perché con il suo crono, 20”10 (il secondo di sempre in Italia, dopo Pietro Mennea), quella finale è stata mancata per soli 3 millesimi. Degli altri parlare di “sotto tono” è poco. Jacobs ha fatto scrivere migliaia di righe agli inviati, senza quasi mettere il piede in pista. Poi i quattrocentisti “covidizzati”, più tristi del mattino di un lunedì di pioggia in attesa di un tram che non passa mai. Da applausi, invece, tutte le velociste, sia quelle della 4×100 sia quelle della 4×400, tutte in finale. Il che non è poco. Siamo diciannovesimi nel medagliere. Adesso? Sbraniamoci Monaco di Baviera!