Il cervello dei runner è più sviluppato. Non ve lo aspettavate? Eppure è così. Anche uno sport ripetitivo e che all’apparenza richiede un controllo motorio molto semplice è in grado di stimolare parecchio le funzioni cognitive, al contrario della sedentarietà. Lo ha dimostrato anche una ricerca recente tra cervello e corsa esiste un rapporto molto più stretto di quanto finora avessimo sospettato.
Aiuta a renderci conto che il running non consiste semplicemente nel mettere un piede dopo l’altro. Se, infatti, molti di noi sono disposti a concedere che il cervello venga sollecitato da sport dove il controllo motorio è molto complesso (ginnastica artistica, tuffi, nuoto sincronizzato, eccetera) è abbastanza sconcertante scoprire come anche la corsa stimoli, e fortemente, il funzionamento cerebrale.
Di solito, la corsa non viene considerata un’attività ad alto contenuto cognitivo, come potrebbe essere invece il fatto di suonare uno strumento. Normalmente reputiamo che il running sia un’attività ripetitiva e piuttosto semplice, di gran lunga meno “cerebrale” rispetto all’eseguire musica, o a leggere un libro o una rivista.
Invece, scopriamo ora, non è così. A quanto sembra correre implica l’uso di abilità di orientamento e di “navigazione” estremamente complesse: occorre pianificare e monitorare costantemente il percorso, ispezionare l’ambiente, confrontare memorie di corse e competizioni passate con la situazione attuale. Tutte queste informazioni vengono coordinate con il network cerebrale che si occupa di predisporre e collegare l’attività motoria in atto.
In un solo caso la connettività dei runner è risultata più bassa rispetto al gruppo di controllo e, siamo sicuri, questo aspetto non vi stupirà…
Nota: Questo testo rappresenta una sintesi del servizio “Di pari passo con il cervello”, di Pietro Trabucchi, pubblicato su Correre n. 390, aprile 2017, alle pagine 70-71.