Straordinario Kilian: in cima all’Everest da solo, in 26 ore, senza corde fisse né ossigeno 

Lo spagnolo Kilian Jornet Burgada ha raggiunto la cima dell’Everest in puro stile skyrunning: niente corde fisse né bombole per l’ossigeno, abbigliamento e accessori tecnici prodotti ad hoc dalla Salomon, l’azienda di cui è testimonial-tester fin dall’inizio della carriera.

Kilian ha così scritto un altro capitolo del suo progetto “Summit of my life”, che dal 2012 lo sta impegnando nel tentativo di stabilire record sulle montagne-icona del mondo, tra cui il Monte Bianco, il Cervino, il Denali, l’Aconcagua e il McKinley (nella foto).

Il racconto dell’impresa 

La spedizione è cominciata il sabato 20 maggio, alle ore 22 locali (+5:45 GMT),  dal campo base dell’Everest (5.100 m.). Dopo 26 ore il catalano ha raggiunto la cima del “Tetto del mondo” (8.484 m) stabilendo il “Fastest known time”. Nella discesa, arrivato all’ABC (Advanced Base Camp, 6.500 m), dopo 38 ore dalla partenza, ha ritenuto di non proseguire fino al campo base per via di un malessere.

Kilian Jornet Burgata ha così descritto la sua impresa: «Arrivato a 7.700 m stavo veramente bene e tutto procedeva secondo i piani, ma ho iniziato ad avere male allo stomaco. Ho continuato ad avanzare lentamente dovendomi fermare spesso e ho raggiunto la cima verso mezzanotte»

Il fenomeno dello skyrunning non nasconde le difficoltà incontrate: «È importante star bene a 8.000 m, se si vuole raggiungere la vetta. Lo sapevo fin dalla partenza che dovevo conservare le energie per il tratto finale».

Crampi e vomito

A quota 8.300 m, Kilian ha effettuato una sosta di un quarto d’ora, un tempo infinito a quell’altezza, un tempo che ha fatto preoccupare lo staff: «Dovevo fermarmi ogni pochi metri  ̶  ha spiegato  ̶ ,  avevo crampi e vomitavo. Ma in generale stavo bene e ho continuato».

Difficoltà che non attenuano l’emozione: «Raggiungere la cima dell’Everest senza corde fisse è qualcosa che non si fa tutti i giorni. Ho visto un tramonto fantastico e sono arrivato in cima a mezzanotte. Ero solo, ma vedevo le luci delle varie spedizioni sia nella parete nord sia in quella sud. Mi è dispiaciuto dover iniziare subito a scendere per raggiungere il campo avanzato, ma dovevo farlo il più presto possibile».

Come si è allenato

Una performance che arriva dopo un’accurata preparazione, che fornisce indicazioni preziose anche ai fisiologi dello sport: «In quattro settimane abbiamo raggiunto due vette oltre gli 8.000 m: il Cho Oyu (8.200 m) e l’Everest, e la nostra acclimatazione ha funzionato. Ci siamo allenati in ipossia per poche settimane, dopo aver trascorso un periodo di allenamento anche sulle Alpi. Sembra che questo tipo di acclimatazione breve funzioni, il corpo si stanca meno ed è più forte nel momento dell’ascensione».

Il film

L’impresa di Kilian è stata documentata da Sebastien Montaz-Rosset, cineoperatore e a sua volta atleta del team Salomon. Sebastien ha seguito Kilian per gran parte della spedizione: lo ha preceduto a quota 7.500 m per filmare la salita fino a 8.020 m epoi è ridisceso al campo avanzato per aspettarlo e da qui è risalito fino a 7.000 m per incontrarlo di nuovo e documentare la discesa. Entrambi si sono fermati al campo avanzato per recuperare dopo l’immenso sforzo.

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